La banca svizzera, la seconda più grande del paese e tra le più grandi al mondo, ha visto in pochi giorni svanire la sua storia di oltre 160 anni. Approfondiamo insieme cosa è successo.
Il fallimento di Silicon Valley Bank
Dopo il fallimento della Silicon Valley Bank, la paura del contagio era arrivata in Europa, innescando una serie di vendite sul comparto bancario continentale che aveva portato l’indice di riferimento dell’eurozona, lo Stoxx, a perdere il 7,11%. Le azioni di Credit Suisse erano già in calo, ma ad alimentare il panico ci ha pensato Al Khudairy, presidente della Saudi National Bank e maggiore azionista del CS, che ha annunciato di non poter immettere nuovo capitale all’istituto elvetico.
L’intervento del Governo svizzero e della BNS
Dopo questo annuncio, sempre più investitori e clienti hanno deciso di lasciare la banca, creando così una grave mancanza di liquidità. La continua fuga di capitali ha spinto la Banca Nazionale Svizzera (BNS) in un primo momento ad intervenire, promettendo 50 miliardi di liquidità al Credit Suisse per garantire la sua operatività. Questo intervento però non è bastato a calmare il mercato, ed era chiaro che senza un massiccio intervento, Credit Suisse il lunedì successivo non sarebbe stata in grado di essere operativa. Nel weekend il Governo Federale Svizzero ha quindi intavolato delle trattative per una soluzione alternativa: l’acquisizione da parte dall’altra grande banca Svizzera, l’UBS, per una cifra nettamente inferiore al presunto valore di mercato di CS: 3.25 miliardi. Il tutto con delle garanzie a UBS per 9 miliardi di franchi messi a disposizione dalla Confederazione verso possibili perdite causate dall’acquisizione di CS e un possibile prestito aumentato a 200 miliardi da parte della BNS a CS per far fronte ai problemi di liquidità.
Una crisi che viene da lontano
Ma la mancanza di fiducia di clienti ed investitori verso il secondo istituto bancario elvetico vede le sue origini da prima del 2008, quando la banca ha iniziato una aggressiva politica di rischiosi investimenti esteri. Gli scandali su questo tipo di affari si susseguono da tempo: dapprima la mafia bulgara che, secondo la Procura, ha gestito indisturbata il riciclaggio di denaro attraverso i conti del CS dal 2004 al 2007. Nel 2013, ci sono stati i ventilati affari di una filiale britannica di CS in Mozambico, dove sono spariti milioni di dollari in prestiti a società statali. Poi c'è stato lo scandalo dello spionaggio dei suoi stessi dirigenti tra il 2016 e il 2019. E di recente la banca è stata coinvolta nelle operazioni rischiose dell'hedge fund Archegos e dei fondi Greensill, perdendo miliardi quando sono crollati, questo nonostante gli ingenti bonus pagati ai manager dello stesso Credit Suisse. La causa dei problemi di Credit Suisse è quindi da ricondurre, secondo i media elvetici, a una cattiva cultura aziendale, troppo propensa al rischio, incurante delle conseguenze e dove il management era incurante delle proprie responsabilità.
La fiducia nel Credit Suisse era quindi già compromessa, il recente crollo della Silicon Valley Bank e i timori di una possibile crisi bancaria globale l'hanno trascinata ancora di più nella spirale negativa e hanno accelerato la fine degli oltre 160 anni di storia della banca svizzera.