Durante la pandemia, tra le startup più di successo e che raccoglievano più finanziamenti (spesso miliardari) in tutto il mondo, c’erano loro, le compagnie specializzate nel grocery delivery, che promettevano ai propri clienti di portare la spesa a casa in pochi minuti. Oggi invece, rischiano tutte di fallire. E questo a causa di un modello di business insostenibile.
Il declino dell’industria grocery delivery
In meno di otto mesi, Jokr, startup americana specializzata nella consegna a domicilio in meno di 15 minuti, aveva raggiunto lo stato di unicorno, raggiungendo il miliardo di dollari di valutazione, ampliando il suo business anche in diverse città del continente, tappezzando NewYork con pubblicità color turchese. Oggi, a poco più di un anno dalla sua fondazione, Jokr ha chiuso tutti i suoi magazzini e le sue attività negli States, rimanendo attiva solo in poche città sudamericane. In Europa, sorte simile è toccata a Getir e Gorillas. Quest’ultima ha licenziato oltre 500 dipendenti la scorsa settimana nella sola Italia, chiudendo le sue attività nel nostro paese. Altre società nel settore, come Buyk, Fridge No More e Zero Grocery, sono già fallite, scomparendo con la stessa rapidità con cui sono arrivate sul mercato
Un modello insostenibile
Nonostante negli ultimi due anni i venture capitalist hanno investito quasi oltre 8 miliardi di dollari nelle sole sei startup di grocery delivery attive a New York, questo modello di business sembra ora essere diventato insostenibile. Infatti, per queste società agli inizi, vista anche la situazione pandemica, è risultato facile ottenere l’interesse di nuovi clienti, in quanto disposti a provare un nuovo servizio che garantisce consegne in tempi rapidissimi. Ma questi clienti vanno mantenuti, e va spiegato loro quali benefici possono ottenere nel lungo termine: ottenendo la loro spesa rapidamente bisogna però essere disposti a pagare un sovrapprezzo rispetto al classico acquisto al supermercato. Cosa che vista l’attuale inflazione, sembra essere sempre più difficile.
Margini ridotti al minimo
Infatti, per queste aziende attive nella consegna a domicilio, i margini di guadagno sono già ridotti all’osso: secondo wired.it, su un ordine da 100 euro, circa 70 servono a coprire il costo all'ingrosso della merce ordinata dal cliente, mentre i restanti 30 vengono assorbiti dai costi generali, come la refrigerazione e lo stoccaggio, i salari dei lavoratori che prendono gli articoli dagli scaffali e li impacchettano, e il costo della consegna. Non bisogna dimenticare che il rider che consegna a domicilio prende la stessa paga, sia se consegna una spesa di 100 euro, sia che porti unicamente del pane fresco. Inoltre, un recente rapporto di McKinsey ha rilevato che a fronte di un margine di profitto del 4 per cento per gli acquisti fatti in negozio, un supermercato medio in Nord America perde il 13 per cento per ogni ordine online.
Micromagazzini come soluzione?
Una possibile soluzione potrebbe essere quella di creare dei micromagazzini in diversi punti strategici delle città in cui si opera, con lo scopo di rendere più veloce la raccolta e l'imballaggio di un ordine da parte dei lavoratori rispetto a un negozio tradizionale. Questo però necessita di ulteriori grandi investimenti, finendo poi per far ricadere una buona parte dei costi ancora sui clienti, facendo lievitare il sovraprezzo del delivery. Un problema che le aziende di grocery delivery devono risolvere in fretta: sono sempre meno gli investitori interessati a finanziare un sistema economicamente traballante, e c’è ancora tanto, se non tutto, da dimostrare.