La dichiarazione integrativa, così come concepita dal legislatore ai sensi dell’art. 2, co. 8 del DPR n. 322 del 1998, si connota per essere uno strumento rettificativo a disposizione del contribuente, al fine di porre rimedio ad errori ovvero omissioni all’interno della dichiarazione originale, che sono state foriere di un’anomala determinazione del reddito imponibile.
La portata del succitato strumento, tuttavia, non è indiscriminatamente applicabile a qualsiasi fattispecie, ma vi sono, all’interno dell’ordinamento, delle limitazioni al suo utilizzo in determinate circostanze, che ne ridimensionano parzialmente l’efficacia.
L'interpretazione dell'agenzia: un approccio letterale
In linea di principio, come si evince dalla copiosa attività esegetica dell’Agenzia delle Entrate, la norma istitutrice della dichiarazione integrativa sarebbe da interpretarsi in maniera letterale, ovverosia restringendo il campo di applicazione dello strumento solo ai casi di correzione di errori od omissioni nell’indicazione degli elementi funzionali alla determinazione del reddito imponibile, senza considerare quei contesti in cui il contribuente intenda meramente modificare una scelta di convenienza.
I limiti della dichiarazione integrativa nella realtà: pronunciamenti dell'agenzia
Siffatto orientamento è ben visibile all’interno della recentissima risposta all’interpello n. 187 del 2022 in tema di regimi opzionali IRAP, ove l’istante chiede di rettificare la scelta effettuata nella dichiarazione originale, sulla base di una maggiore lecita convenienza fiscale e non a seguito della sopraggiunta consapevolezza di aver commesso errori ovvero omissioni. A tal riguardo l’Amministrazione Finanziaria riprende la ben nota risoluzione n.325/E del 14 ottobre 2002, ribadendo che le dichiarazioni di scienza, tra cui si annoverano quelle dei redditi, sono manifestazione concreta e tangibile di volontà negoziale e non possono, pertanto, essere rettificate fatta eccezione per i casi di dolo, violenza od errore.
A fortiori si vedano anche i pronunciamenti della stessa Agenzia delle Entrate in tema di rivalutazione dei beni d’impresa, in particolare, con la CM n. 18 del 27 aprile 2017, in coerenza con le circolari n. 13/E del 2014 e n. 11/E del 2009, ma anche con la ris. N. 362/E del 2008, si afferma come l’Erario non ammetta la presentazione di una dichiarazione integrativa per rimediare all’omessa compilazione del quadro RQ, necessaria per il perfezionamento fiscale dell’operazione e parimenti per l’affrancamento della riserva.
La prassi di merito oggi
In ultima istanza, tutto ciò premesso, si desume un atteggiamento monolitico sul tema da parte della stessa Agenzia delle Entrate che, senza dare adito a possibili sperequazioni sul tema, considera la dichiarazione integrativa come uno strumento di rimedio ad errori oggettivi (ivi ricomprese le omissioni) e non come un escamotage di cui servirsi all’uopo sulla base della mera convenienza.